sabato 7 novembre 2009

Muri

Buona domenica 8 novembre 2009, vigilia del 9 novembre. Una data che ricorre più volte nella storia, particolarmente in quella tedesca. Certamente domani ricorderemo quanto accadde 20 anni fa. Per capire meglio l’evento, forse più per vivere un’esperienza dal vivo, ho pensato di andare direttamente a Berlino: una sorta di pellegrinaggio laico nel luogo che è stato il fondamento di quell’evento storico che ha concluso il Novecento (il secolo breve che secondo gli storici inizia dopo la prima guerra mondiale e termina con il crollo della cortina di ferro).

Ma ci sono, come detto, altri 9 novembre. Nel 1919 l’imperatore Guglielmo II abdica e in Germania inizia l’esperienza culturalmente ricca (ma così dannatamente fragile) della Repubblica di Weimar. Pochi giorni dopo finisce la prima guerra mondiale e l’assetto geopolitico europeo si trasforma radicalmente. Finisce l’ottocentesca e statica epoca dei grandi imperi e inizia un Novecento molto dinamico, a dir poco pieno di scombussolamenti.

La Grande Guerra termina con i principi universali dell’autodeterminazione e della libertà, ma proprio il 9 novembre di quattro anni dopo, Hitler fallisce il putsch di Monaco. E ancora sempre il 9 novembre 1938 non si può dimenticare la notte dei cristalli, nella quale vengono devastati 7500 negozi ebrei e 30 mila persone sono internate; un momento in cui si dà una forte accelerata a quel progetto che poi diventerà la Endlösung (la soluzione finale).

Insomma i sogni di libertà giacciono infranti come le vetrine della notte dei cristalli. Già, perché – anche liberata dai totalitarismi – l’Europa si ritrova divisa in due, campo di una partita giocata da potenze esterne. Spaccata da muri, soldati e reticoli di filo spinato.

E arriviamo al 9 novembre 1989. Non voglio soffermarmi sulle cause storiche della caduta del muro, non farò nemmeno una lettura cabalistica di tutte queste date coincidenti. Che però ci aiutano a trovare un fil rouge nell’eterno duello tra sogni di libertà e realtà pesanti di oppressione e divisione.

Domani a Berlino si ritroveranno politici internazionali, artefici di progetti di liberazione. Da Mandela a Wałesa e molti altri; l’hanno chiamata Fest der Freiheit, Festa della Libertà. E ci possiamo chiedere. Che ne abbiamo fatto, venti anni dopo, della libertà? Quali muri abbiamo abbattuto e quali invece rinascono vigorosi?

Il muro di Berlino, quando fu costruito nel 1961, venne motivato come un elemento che avrebbe rafforzato la sicurezza per tutta l’Europa. Già, la sicurezza. Un cavallo di battaglia che nella storia è sempre stato vincente e che tutt’ora fa da padrone a tutti i muri (Israele è solo un esempio, ma ce ne sono molti altri nel mondo). Anche dove i muri non ci sono! Nel nome della sicurezza stiamo assistendo ad un imbarbarimento dell’Europa (un imbarbarimento mascherato di buoni sentimenti grazie ad un compiacente sistema di immagine).

Ma se scaviamo più a fondo credo ci sia oggi una questione più radicale. Il muro più alto ed esteso che stiamo costruendo è quello della demonizzazione aprioristica dell’altro, di chi non la pensa come me e la mia combriccola, la mia parrocchietta, la mia nazione, la mia fede religiosa. Il muro non si erge solo tra comunitari ed extracomunitari. Si erge tra gli Europei stessi.

Certo, non si può negare all’UE il merito di aver realizzato l’impensabile (la generazione precedente alla mia aveva buone ragioni per temere uno sconfinamento nell’allora Yugoslavia; oggi si può andare da Lisbona a Tallinn senza troppi impedimenti); non si può negare all’UE che tutta questa condivisione di conoscenza, effettivamente, ci permette ancor più di apprezzare la ricchezza culturale che il Vecchio Continente ha donato all’umanità. Ma dobbiamo evitare facili illusioni che basti un muro in frantumi per aver liberato la libertà.

Prima di tutto perché questa libertà ha assunto in sé anche i connotati di un capitalismo rampante che è dilagato in maniera poco umana (per usare un eufemismo) nei territori dell’ex blocco orientale.

Secondo: è difficile creare un luogo geopolitico di scambio veramente dialogante (e la Costituzione Europea che arranca ne è un chiaro segno). Perché il demone che minaccia la libertà oggi è forse il muro del vedere come un nemico chi non la pensa come me. Non esistono le posizioni mediane, o ti schieri e ti polarizzi o sei out. È così! Avviene dalla politica, alla cultura, dalla religione alle relazioni interpersonali. Il dissenso non è così ammesso. Non è colto nella sua dimensione creativa arricchente. E allora via, si innalzano barriere di protezione delle proprie omogeneità; si fa quadrato attorno a tanti pensieri unici.

È curioso che, scrivendo agli abitanti di Efeso, san Paolo afferma che la crocifissione di Gesù “…di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l'inimicizia, per mezzo della sua carne…” (cfr Ef 2,14). Guardando alla cronaca di questi giorni si dovrebbe dire il contrario: reazioni “da muro” da entrambe le parti, invece che approfittare per dialogare sulla laicità…

Il demonizzare l’avversario avviene poi in maniera evidente in politica. Ma la politica è sempre lo specchio della società, ed è vero che siamo una società litigiosa (ogni occasione è buona per far causa a qualcuno oggi). E allora la prima domanda sulla litigiosità si sposta sulla dimensione (banale ma fondamentale) dei rapporti interpersonali. Ed è altrettanto vero che questo processo che aliena l’immagine di chi è altro da me, è stato il tipico atteggiamento dei totalitarismi (nel sogno irrealizzato di costruire una società perfetta “dei nostri”). Che sia oggi un totalitarismo individualistico?

Forse, per celebrare in maniera fruttuosa (e non solo in un gongolante autocompiacimento) la libertà del 9 novembre 1989, sarà opportuno e urgente fare memoria anche degli altri tre eventi accaduti in questo giorno dell’anno.